CAOS TARI: ECCO COME CALCOLARE LA QUOTA VARIABILE

Circolare del Ministero sulle utenze domestiche

21/11/2017

Continua a tenere banco la questione della quota variabile Tari, che diversi Comuni hanno applicato illegittimamente anche alle pertinenze delle utenze domestiche, sollevata dalla risposta ad un interrogazione parlamentare del 18 ottobre scorso.

Il problema è sorto nel 2014 con il passaggio alla Tari, che prevede l'applicazione del metodo normalizzato (Dpr 158/99) distinguendo la quota fissa dalla quota variabile. Dopo la breve parentesi del 2013 con la Tares (per i Comuni che l'hanno istituita), si è passati da una tariffa “monomia” della Tarsu a una tariffa “binomia” della Tari, composta da una quota fissa correlata alla superficie e al numero dei componenti del nucleo familiare, e da una quota variabile collegata solo al numero degli occupanti. Quindi se una famiglia di 4 persone occupa 100 o 200 mq, la quota variabile è sempre la stessa, cambia invece la quota fissa.

La Tari «gonfiata»

La determinazione delle quote, fissa e variabile, dipende dai costi complessivi del servizio rifiuti, previsti dal piano finanziario Tari approvato dal Comune in base ai criteri del Dpr 158/99, distinguendo peraltro le tipologie di utenze (domestiche e non domestiche) e rispettando la copertura integrale dei costi. Si arriva così a quantificare delle tariffe: in particolare quelle relative alle utenze domestiche sono contenute in una tabella di sei righe distinte per numero di componenti del nucleo familiare (da uno a sei o più componenti). Le tariffe Tari sono però riferite all'”utenza”, comprensiva delle pertinenze (garage, cantina, eccetera), diversamente dalle aliquote Imu che invece considerano l'unità immobiliare intesa in senso catastale.

Ed è qui che può sorgere l'errore di calcolo della Tari, perché diversi Comuni applicano a ogni unità immobiliare sia la quota fissa sia quella variabile, mentre quest'ultima, essendo correlata solo al numero degli occupanti, andrebbe associata all'intera utenza.

Risulterebbe così gonfiata la Tari da corrispondere in caso di abitazioni con pertinenze. Lo stesso dicasi in caso di abitazioni di vecchia costruzione composte da più subalterni catastali ma che di fatto costituiscono un'unica utenza domestica. È evidente che l'applicazione della parte variabile a ogni pertinenza o unità immobiliare comporta un notevole aumento della Tari da pagare, aumento che il Mef ritiene illegittimo.

Che cosa deve fare il contribuente

Il contribuente, dopo aver attentamente verificato la propria posizione già nell'avviso di pagamento, dovrebbe quindi chiedere al Comune il rimborso di quanto indebitamente pagato o la compensazione sulla bolletta dell'anno prossimo. L'operazione dovrebbe comunque passare attraverso una rideterminazione complessiva delle tariffe, riguardante l'intera platea delle utenze domestiche: quelle con pertinenze, che sono state penalizzate e quelle senza pertinenze. Ci sono comunque cinque anni di tempo dal versamento per chiedere il rimborso, che il Comune dovrebbe effettuare entro 180 giorni dalla presentazione dell'istanza. Ovviamente l'eventuale riscontro negativo ovvero il silenzio-rifiuto espone l'ente ad un contenzioso che potrebbe rivelarsi controproducente, alla luce della recente interpretazione ministeriale.

Come si fa, dunque, a capire di aver versato la Tari “gonfiata”?
Sono pochi i Comuni che hanno espressamente previsto nei loro regolamenti Tari la non applicabilità della quota variabile alle pertinenze dell'utenza domestica. Si dovrebbero quindi leggere attentamente gli avvisi di pagamento che l'ente ha inviato a tutti i contribuenti (la Tari è riscossa normalmente su liquidazione d'ufficio) e verificare, in caso di pertinenze, che la quota variabile applicata risulti pari a zero euro.

In quale parte dell'avviso di pagamento è indicata la quota variabile?
In genere l'avviso di pagamento della Tari contiene il riepilogo dell'importo da pagare, le istruzioni per il versamento (scadenza rate e codice tributo) nonché il dettaglio delle somme. È in questa parte che l'ente indica le unità immobiliari (con i dati catastali: foglio, particella, sub), la superficie tassata, il numero degli occupanti e la quota fissa e variabile distinta per ogni unità immobiliare. La quota variabile deve essere presente solo per l'abitazione, non anche per le eventuali pertinenze.

Quindi in corrispondenza della casa e di ciascuna pertinenza (garage, posto auto scoperto, cantina e così via) l’avviso di pagamento riporterà le voci ‘quota fissa’ e ‘quota variabile’. La quota fissa comparirà, con il relativo importo, con riferimento alla casa e a ogni pertinenza. La quota variabile, invece, dovrebbe riportare un valore apprezzabile in corrispondenza del solo appartamento, e la cifra 0 in relazione alla pertinenze. Se per il garage, ad esempio, compare un valore superiore, è quella la cifra che abbiamo versato in più e di cui possiamo richiedere il rimborso entro cinque anni dal versamento.

A scanso di equivoci, verifichiamo tutti gli avvisi Tari ricevuti, dal 2014 in poi.

L’istanza di rimborso.  Per la richiesta d’indennizzo possiamo agire da soli, inoltrando una richiesta scritta in duplice copia al Comune o al soggetto terzo che si è occupato di riscuotere la Tari (concessionario del servizio).

Entro quale termine il contribuente può chiedere il rimborso al Comune? È obbligatorio per il Comune rispondere all'istanza?
L'articolo 1 comma 164 della legge 296/2006 (finanziaria 2007) stabilisce che il rimborso delle somme versate e non dovute deve essere richiesto dal contribuente entro il termine di cinque anni dal giorno del versamento, ovvero da quello in cui è stato accertato il diritto alla restituzione. La stessa norma impone inoltre all'ente di effettuare il rimborso entro centottanta giorni dalla data di presentazione dell'istanza, ma non è da escludere un eventuale silenzio-rifiuto da parte dell'ente.

L’istanza va inviata con raccomandata A/R o PEC, citando gli estremi dell’interrogazione parlamentare n. 5-10764 del 18 ottobre 2017, e allegando gli avvisi di pagamento della Tari contestata. Il Comune dovrebbe rimborsarci entro 180 giorni dalla presentazione dell'istanza. Se l'ente non risponde è possibile presentare ricorso nei 60 giorni successivi alla Commissione Tributaria Provinciale.

Qual è il termine per proporre ricorso?
Il contribuente, in caso di diniego espresso al rimborso, ha 60 giorni di tempo per proporre ricorso alla commissione tributaria provinciale territorialmente competente. Nel caso di silenzio-rifiuto - che si forma dopo 90 giorni dalla presentazione dell'istanza (articolo 21 Dlgs 546/92), ma è consigliabile attendere 180 giorni previsti dalla norma sui tributi locali (comma 164 legge 296/06) - il contribuente deve proporre ricorso entro cinque anni (termine di prescrizione del diritto secondo la giurisprudenza più recente).

Scarica sotto la circolare del Ministero dell’Economia e delle Finanze che chiarisce gli aspetti della TARI.

Per eventuali chiarimenti e dubbi contattare il nostro sportello TARI. Riferimento Francesco Porqueddu 0784 30470 - 36403

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